Da parte di padre

Marco Proietti, Il Filo, 2010

Descrizione

Subiaco, 1875. Un convento come altri. Suor Chelidonia accorre con qualche ansia alla porta, la campanella suona nel cuore della notte in maniera impetuosa e inusitata. Ed in effetti eccola la sorpresa, aperti i battenti: un neonato. Bello e silenzioso, come nessun altro. Il panno in cui è avvolto rivela subito che non trattasi del solito bastardello depositato sul retro dell’edificio. Capita spesso infatti, fra i contadini del piccolo abitato, un parto non voluto. E a tutti gli orfani vien dato il cognome di Proietti. Ma stavolta è diverso. Perchè è figlio di un Vescovo, il Vescovo più famoso da quelle parti, a cui non si può dire di no. Così comincia la dinastia di quello che non è un normale trovatello, ma bensì Simone Proietti Mancini. Tra i cui avi c’è addirittura la lussuoriosa e mitica Lucrezia Borgia. E poi la vita, e poi la morte, e poi l’amore e il non amore. In questo luogo appartato e quasi dal clima archetipico del basso Lazio, ai confini con i monti abbruzzesi, ecco dunque dipanarsi la storia dei discendenti di questo Simone, che per tradizione tutti si chiameranno Benedetto. Un marchio di famiglia, un lasciapassare per l’esistenza. Scene di vita quotidiana minuziosamente descritte, dove il gesto più abitudinario e comune va ad assumere un aura quasi rituale, con i ritmi della vita e della morte scanditi da quello che si chiama destino o fatalità o volere di Dio, un fitto disciogliersi di microstorie generazionali, sotto lo sguardo attento e vigile della Natura che nulla perdona e nulla dispensa, nemmeno un secolare e ripetuto utilizzo del terremoto per disperdere amori, dividere affetti, segnare vite e morti. Duri lavori, a volte anche miracolosi, come il Benedetto minatore nelle cave, amori intensi e familiari, usuali nella loro praticità e nel loro affetto, che si consumano nei riduttivi spazi che la quotidiana lotta per la sopravvivenza concede. E poi la Storia sullo sfondo, quella grande e lontana, quella che si vive a Roma, così vicina e lontana e anche addirittura oltre Roma…
Un pattern certo tradizionale, nella migliore e longeva tradizione nostrana, ma che Marco Proietti Mancini, romano del 1961, scrittore non di professione ma certo abile artigiano della parola, riesce a rendere meno consueto e stereotipato del solito non indulgendo in retorici crepuscolarismi di maniera oppure in banalizzazioni ricolme di pathos sentimentalistico-elegiaco. Una saga familiare nel senso più alto del termine, certo senza le maestose ed epiche controaffrescature narrative dei dipinti romanzeschi ottocenteschi e nemmeno i vigorosi singulti politico-sociali di variazioni sul tema novecentesche. Ma uno stile calibrato, una delicatezza descrittiva che non annoiano anzi persuadono ad andare avanti. Ritengo che l’autore meriti più attenzione da perte di qualche editore in grado di valorizzare le potenzialità di una scrittura che merita. Promosso.

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